pazzia 2

Rosaria era andata a fare un’ambasciata per don Antonio e se ne tornava in Canonica tranquillamente per pranzo.

Appena arrivata, Rosina l’attaccò piena di bile.

“Che hai combinato! Oggi ti ha cercato don Giacomo, era su tutte le furie. Ne hai fatta una delle tue! Disgraziata, se fosse per me in clausura ti manderei.”

“Don Giacomo? E dov’è adesso?”

“E’ andato in paese, senza neanche salutare, che gli hai fatto, eh?”

“Niente, di’ a don Antonio che mangio più tardi, vado in paese.”

“Dove vai, maleducata, la pasta è pronta, stiamo aspettando te. Dove vai?”

Rosaria si chiuse dietro la porta e corse in paese.

In giro non c’era nessuno, tutti erano a pranzo.

Una leggera brezza rinfrescava l’aria già calda della primavera, Rosaria scese giù per il vicolo verso il palazzo di don Giacomo.

Lui era alla finestra, non aveva fame, stava lì in piedi ad aspettare, la vide scendere di corsa dal vicolo, i capelli al vento, le mani sulle gonne a tirarle su per correre più velocemente.

Bella, come era bella, il suo cuore accelerò vorticosamente, un brivido lo scosse dai suoi brutti pensieri, gli occhi gli si illuminarono, il sorriso gli si spalancò sul volto.

Lei lo vide, là alla finestra, si fermò e sorrise.

Fu un attimo, quel viso colorato dalla corsa, quegli occhi azzurri lucenti, quel sorriso felice, lo catapultarono giù dalle scale, fuori dalla porta.

Si corsero incontro.

Il mondo intorno, già in silenzio, si fermò, niente più vento, niente più case, niente più niente, solo loro due e il cielo.

Si abbracciarono, si baciarono, lui la rapì.

In un attimo erano nella sua camera a baciarsi davanti alla finestra sul mare, che rilucente di piccoli riflessi dorati, faceva il ruffiano là sotto.

Non si dissero una sola parola, fu solo un’assaggiarsi di labbra e di lingue, un penetrarsi di sguardi, un esplorarsi di mani sulle spalle, sui seni, sui colli, sui fianchi, poi uno spogliarsi di desiderio dalle camicie, dalle gonne, dai pantaloni e infine un inebriarsi di sesso sfrenato senza vergogne, senza paure.

Solo quando i loro corpi rossi di passione, sudati di piacere, caldi di amore, ansimanti di delirio si acquietarono, allora si raccontarono quei giorni dal primo bacio, poi le loro intere vite.

Mentre si promettevano amore eterno, la luce del sole quasi al tramonto, entrò prepotente dalla finestra.

Si tirarono su seduti sul letto, lei disse, mentre i raggi caldi le illuminavano gli occhi azzurri: “che bello!”; lui, come ad un amico che è a conoscenza dei segreti più intimi: “te lo avevo detto che un giorno avrei portato qui qualcuno più bello e luminoso di te”.

Lei lo guardò rapita e commossa, lui si compiacque e la baciò, si abbandonarono nuovamente alla passione amandosi fino a sera.

Affamati, era notte, mangiarono quel che trovarono nella cucina e brindarono al loro futuro di felicità.

Il vino rosso sfocò le loro ultime inibizioni e solo a notte fonda, finalmente, si addormentarono, nudi avvinghiati sotto le coperte.

Il giorno era già fatto da un pezzo, quando don Clemente e la moglie arrivarono in calesse al palazzo.

“Giacomo, che è questa storia” strillò don Clemente, nel vedere il figlio a letto con Rosaria.

Giacomo si svegliò di soprassalto.

Un istante dopo anche Rosaria si svegliò, vide il volto cattivo e disgustato di don Clemente e per la prima volta ebbe paura di un uomo.

“Porta via immediatamente questa puttana dalla mia casa.”

“Papà…” provò a ribattere Giacomo, ma il padre continuò:

“Questa era la malattia che avevi, adesso mi sente anche don Mimì, astenia, questa è pazzia, altro che, ti ordino di portare via questa donna.”

“Papà, questa è la donna che amo, non è una puttana” gridò don Giacomo, ribellandosi per la prima volta a suo padre.

“Amore, amore, questa è la tua rovina, ti ricordo che tu hai un altro impegno. Tu sei nobile hai dei doveri, non puoi buttare tutto al vento per le cosce di una puttana.”

“Rosaria non è una puttana, papà, te lo ripeto è la donna che voglio sposare.”

“Tu sei pazzo, anzi sei un cretino, ti vuoi sposare una del popolo, una che gioca a carte con gli uomini in cantina, ti vuoi coprire di ridicolo, bene, allora sappi che da me non avrai più nulla, anzi per me sarai morto, e adesso vestitevi e fuori.”

Sbatté la porta e su tutte le furie discusse anche con la moglie che gli consigliava di avere pazienza, che a Giacomo gli sarebbe passata presto.

“Giacomo, è stato bello, ma penso che non dovremmo vederci più, tuo padre è stato chiaro.”

“Zitta, non lo dire neanche per scherzo, io non posso vivere senza di te, vestiamoci e andiamo via.”

“Ma dove andiamo? Tuo padre ci ha maledetti, nessuno ci aiuterà.”

“Non ti preoccupare, io voglio te e questo basta, per il resto vedremo.”

“Giacomo, aspetta dove vai” disse la madre, piangendo.

“Lascialo fare è un cretino, vai, vai a distruggere la tua vita, imbecille.”

Giacomo e Rosaria uscirono senza dire una parola.

Camminarono stretti uno accanto all’altro su per il vicolo verso la piazza.

Rosaria lo guardò, era cupo e triste, ma determinato, che aveva in mente?

Già che aveva in mente.

La mente di Giacomo era invasa dalla rabbia e nel tratto fino alla metà del vicolo non riuscì a pensare niente, poi con un sospiro liberatorio pensò a don Mimì, si, solo lui poteva aiutarlo.

“Andiamo da don Mimì, ci aiuterà lui.”

A Rosaria uscì di bocca un incertissimo “Giacomo stai facendo una pazzia”, ma il suo cuore, anche se impaurito, era felice.

Si fece trascinare volentieri sotto casa di don Mimì.

Giacomo bussò forte, si affacciò la governante dalla finestra accanto, li guardò, guardò Giacomo scuro e determinato, guardò Rosaria rapita e scombussolata, intuì la situazione da vecchia comare qual era e chiese con un pizzico di ironia: “Vi serve don Mimì?”

“Si, urgentemente, grazie.”

Poco dopo si sentì aprire il catenaccio del portone: “Entrate, don Mimì è nello studio”.

Don Giacomo salì lesto le scale fino al primo piano e filò dritto verso lo studio.

“Giacomì, che mi combini” disse don Mimì vedendolo arrivare.

“Così siete folli d’amore, beati voi.”

“Mimì, non scherzare, siamo in una brutta situazione, solo tu mi puoi aiutare. Papà non ne vuole sapere, mi ha buttato fuori di casa.”

“Capisco tuo padre e, ahimè capisco anche te”, e guardò con una certa insistenza Rosaria, che con i capelli giù un po’ scapigliati, era ancora più affascinante.

“Mimì, dacci in prestito quella casa, che hai comprato vicino la chiesa di S. Lucia.”

“Giacomì, tu mi metti in difficoltà, sai la stima reciproca tra me e tuo padre…”

“Mimì, te lo ripeto, solo tu mi puoi aiutare. Non ho altri a cui rivolgermi.”

“Va be’, a tuo padre ci penso io. Senti, la casa non so in che stato è, non è di sicuro un palazzo.”

“Non fa niente, don Mimì, ci penso io a farla diventare una reggia, grazie, grazie” disse di slancio Rosaria, prendendo la mano di don Mimì e baciandogliela con devozione.

“Prego, prego” rispose compiaciuto don Mimì, che si sentì come quando riusciva a guarire un suo paziente: utile.

Don Giacomo prese le chiavi, ringraziò abbracciandolo il suo amico, afferrò Rosaria e volò verso la sua nuova casa.

Dopo nove mesi nacque il frutto del loro idillio, un maschietto, che fecero battezzare in privato a don Antonio e che chiamarono proprio Antonio.

Fino ad allora erano vissuti d’amore, ed gli era bastato poco.

Giacomo aveva una certa riserva di denaro, sua madre, di nascosto di don Clemente, mandava sempre qualcosa, ora, però, c’era un figlio da mantenere.

Don Clemente alla notizia della nascita del nipote non fece una piega, pensò solo: che cretino di figlio che ho.

Zittì senza mezzi termini il tentativo della moglie di fargli perdonare il figlio e di acconsentire ad un matrimonio riparatore, anzi le proibì categoricamente di andarlo a trovare.

In paese la coppia era diventata argomento quotidiano, le donnette bigotte li condannavano, mentre la gioventù li prendeva ad esempio di coraggio e romanticismo.

Gli amici di don Giacomo si erano dissolti come neve al sole, solo don Mimì lo salutava pubblicamente e lo andava trovare a casa.

La gente comune non sapeva come comportarsi, salutarlo significava fare torto a don Clemente, ma in fondo lui era pur sempre don Giacomo, perciò facevano dei saluti accennati, magari solo con il capo.

Anche gli amici di Rosaria si defilarono, chi per gelosia, chi per delusione, fortunatamente il maresciallo non le voltò le spalle e prima l’aiutò mandandole generi alimentari e vestiario, poi affidandole la pulizia della caserma e via via anche incarichi particolari, come perquisire le donne fermate con l’accusa di furto.

Don Antonio, anche se ufficialmente non poteva approvare quella unione sconsacrata, faceva recapitare ogni tanto qualche cosa, che in canonica fosse di avanzo, da corriere faceva Rosina, che ogni volta non mancava di contrastarsi con Rosaria, che ora appellava “peccatrice”.

La vita di don Giacomo con Rosaria era passionale, erano innamorati l’uno dell’altra, ora con il figlio era ancora più intensa.

Don Giacomo era determinato ad andare avanti, ma la contrarietà del padre gli faceva sanguinare il cuore, anche se relegata ad un angolo remoto, la ferita c’era e sanguinava.

Più volte aveva preso la decisione di andarlo ad affrontare per risolvere la situazione, ma il suo orgoglio e i consigli di don Mimì, che lo invitava a far passare un po’ di tempo, lo fecero desistere.

Così Rosaria rimase di nuovo incinta e nacque Maria.

pazzia 2ultima modifica: 2017-02-25T19:49:06+01:00da domenico_barone6