Dobbiamo smettere di pensare in funzione del PIL

Qualche anno fa mi sono imbattuto in questa frase attribuita ad Edwin Land, l’inventore della Polaroid:

It’s not that we need new ideas, but we need to stop having old ideas: è stata illuminante.

Per decenni abbiamo tentato di trovare la soluzione alle problematiche sociali e ambientali prodotte dal sistema economico del novecento, continuando a usare metodi e strumenti vecchi, perché fondamentalmente abbiamo continuato a pensare idee vecchie; abbiamo creduto che bastassero solo degli aggiustamenti.

Oramai quasi tutti abbiamo preso coscienza che stiamo andando incontro ad un cambiamento del clima con effetti devastanti, che le risorse della Terra sono limitate e presto non basteranno a soddisfare i bisogni primari di una popolazione mondiale in continua crescita, ma ci ostiniamo a valutare le soluzioni sottoponendole agli stessi schemi che hanno generato i problemi, perché siamo ingabbiati dalle vecchie idee, non riusciamo a smettere di pensare vecchio.

Quante volte ci siamo arrovellati il cervello per dimostrare che le filiere della produzione di energia sostenibile, credo che sia più corretto chiamarla così, ad esempio l’eolico e il solare, facciano aumentare il PIL e producano occupazione, più della filiera dei combustibili fossili? È recentissima l’analoga diatriba tra la filiera dell’auto elettrica rispetto a quella endotermica, diatriba che ci fa perdere di vista completamente il problema principale, l’impatto ambientale.

L’efficienza energetica non fa aumentare il PIL a medio e lungo termine, perché riduce i consumi (o meglio, gli sprechi) e, praticata in modo sistematico, può teoricamente azzerarli; allora ci viene il timore che stiamo sbagliando e barcolliamo, diveniamo bipolari, predicandola, ma al contempo temendola per la ricaduta negativa sul nostro sistema economico basato sulle vecchie idee.

La sensazione è che stiamo girando in tondo, certo così non arriviamo da nessuna parte, anzi diveniamo poco credibili; allora è necessario uscire allo scoperto, fare outing, liberarsi dalla zavorra del novecento e finalmente smettere di pensare idee vecchie, solo in questo modo potremo affrontare la transizione verso un nuovo (veramente nuovo) sistema.

Penso che questa presa di coscienza sia l’obiettivo culturale fondamentale da far raggiungere prima possibile all’opinione pubblica, essa è propedeutica al processo di transizione, alla comprensione di dove si vuole andare.

In questi ultimi tempi ho cominciato a fare esercizi per smettere di pensare idee vecchie. Ogni volta che mi trovo ad affrontare una problematica, un argomento, un progetto, mi propongo di azzerare tutti i preconcetti e di fermarmi, per ripartire diversamente, ogni qualvolta, nel procedere, mi dovessi trovare a valutare le cose con schemi precostituiti o sempre usati, perché dati per scontati. Il risultato è sorprendente, l’orizzonte si allarga, la visione diviene più nitida.

Ho coinvolto in questi esercizi anche i miei colleghi di lavoro e anche in questo ambito, non appena abbiamo cominciato a smettere di pensare idee vecchie, prima fra tutte la classica “si è sempre fatto così”, le nostre menti hanno cominciato, in modo naturale, a pensare innovativo. Strumenti e tecnologie, percepite non adeguate o addirittura minacciose, sono diventate di colpo la soluzione a problemi annosi.

Tutto ciò senza abiurare o dimenticare il passato e le esperienze pregresse, anzi, l’esercizio consente di recuperarne i valori, l’essenza, eliminando le sovrastrutture costruite nel tempo, individuandone chiavi di lettura nuove.

Proviamo a fare un primo esercizio con il PIL.

Come andrà a finire il PIL

possibili andamenti del PIL a lungo termine

La semplificazione del mondo complesso ha sempre affascinato l’uomo, ma sappiamo che per semplificare si deve sempre trascurare qualcosa; per questo, anche nel processo di semplificazione si deve sempre adottare l’approccio scientifico. Si può semplificare un fenomeno trascurandone solo quegli aspetti poco influenti in un ambito ben definito, ad esempio nella teoria dei circuiti possiamo utilizzare la famosa legge di Ohm solo in un determinato campo di frequenze.

Cosa è stato trascurato nell’assumere il PIL come unico parametro di misurazione del ‘benessere’? Sicuramente la sua interazione con il pianeta Terra. Come nell’esempio della teoria dei circuiti, anche in questo caso, l’interazione con gli ecosistemi può essere trascurata in ben determinate condizioni, fintanto che la quantità di materia ed energia utilizzata pro capite è molto più piccola della quantità di materia ed energia messa a disposizione pro capite dall’ecosistema. Oggi siamo arrivati a manipolare quantità di materia ed energia paragonabili a quelle naturali e quindi non è più possibile considerare il sistema economico indipendente dagli ecosistemi, eppure continuiamo a misurare il progresso umano solo con il PIL, perché abbiamo sempre fatto così.

In realtà sono stati introdotti altri indicatori, in Italia ad esempio, dal 2010 l’Istat fornisce i dati relativi al BES (Benessere Equo e Sostenibile), composto da 12 domini rilevanti per il benessere, per un totale di 130 indicatori, che dovrebbero essere in grado di misurare i diversi aspetti della qualità della vita dei cittadini. Teoricamente il parlamento dovrebbe tenerne conto, ma nella realtà, la stragrande maggioranza degli italiani non ne conosce l’esistenza e la politica lo trascura. Passare da un unico indicatore a 130, seppur raggruppati in 12 domini, non è facile, soprattutto per chi, fondamentalmente, continua a pensare idee vecchie.

Allora, come smettere di pensare solo in funzione del PIL? In questo preciso momento storico il pericolo principale è l’alterazione irreversibile degli equilibri ambientali, e non mi riferisco solo al cambiamento climatico, ma soprattutto all’esaurimento delle risorse, cioè alla distruzione del capitale naturale; quindi se vogliamo cominciare a correggere veramente la rotta dobbiamo sottrarre al computo del PIL tutto ciò che va ad intaccare il capitale naturale, cioè prendere in considerazione l’interazione dell’economia con il sistema Terra.

Se smettiamo di pensare vecchio, ci accorgiamo che il PIL aumenta quasi sempre a spese del capitale naturale, cioè l’aumento del PIL in realtà genera una ricchezza momentanea di sempre più breve periodo; infatti, intaccando in modo non sostenibile il capitale naturale, di fatto genera un impoverimento delle risorse disponibili per il futuro. E’ chiaro che continuando ad utilizzare come solo indicatore di benessere il PIL, non ci accorgeremo mai, che in realtà stiamo segando il ramo dove siamo seduti.

Se, invece, dal PIL deduciamo tutte quelle voci che comportano un impoverimento del capitale naturale, otteniamo un indicatore più vicino all’effettiva quantità di ricchezza prodotta; questo indicatore lo potremmo chiamare PINCN (Prodotto Interno al Netto del consumo di Capitale Naturale).

Tutte quelle azioni umane che utilizzano risorse naturali (suolo, acqua, ossigeno, minerali, fossili, ecc.) in modo non sostenibile non possono concorrere al PINCN.

Provo a fare alcuni esempi in estrema sintesi.

Esempio 1: Costruzione di una villetta di 100mq

Valore fatturato della costruzione 300.000€, questa cifra concorre al PIL.

In realtà, però, vengono sottratti al capitale naturale le seguenti voci:

· 100mq di suolo di ecosistema per un tempo molto lungo, almeno 100 anni, quindi il capitale naturale perde per 100 anni una quota pari a tutte le risorse naturali che quell’appezzamento di terra avrebbe potuto produrre in 100 anni;

· alcune tonnellate di materie prime componenti i materiali edili (cemento, ferro, sabbia, ecc.), che saranno impegnate per 100 anni e saranno difficilmente riutilizzabili al momento della demolizione;

· migliaia di KWh di energia non rinnovabile;

· centinaia di metri cubi di acqua;

· centinaia di Kg di rifiuti non riciclabili.

Per calcolare il PINCN, queste voci devono essere sottratte al PIL, quindi l’effettivo aumento di ricchezza è sicuramente molto minore o addirittura negativo.

A differenza se invece di occupare nuovo suolo si ristruttura un edificio già esistente, si riutilizza il materiale di demolizione, si impiega energia rinnovabile, si utilizzano tecniche meno divoratrici di acqua e si riducono i materiali di scarto, il PINCN prodotto è sicuramente superiore.

Esempio 2: Energia prodotta da fonti fossili

Il fatturato della vendita di energia prodotta da combustibili fossili è sommato al PIL, in realtà il combustibile fossile consumato non è più recuperabile e quindi il capitale naturale perde per sempre (o almeno per un tempo corrispondente ad un’era geologica) una quantità di valore pari al combustibile bruciato, che deve essere sottratto al PIL per avere il PINCN. Sottraendo anche tutte le perdite di capitale naturale provocato dall’inquinamento prodotto dalla combustione di fossili, sicuramente la ricchezza effettiva prodotta è negativa!

Mentre l’energia prodotta con fonti sostenibili può concorrere al PINCN con percentuali molto elevate.

Quanto emerge da queste considerazioni sembra quasi banale, ma allora perché nessuno ci pensa? Perché il cervello libera spazio e risorse alle nuove idee solo smettendo di pensare le idee vecchie.

Chiaramente è necessario affiancare anche altri indicatori per avere il quadro più preciso, ma, in questa fase di transizione, il PINCN può fornire quel grado di semplificazione necessario a indirizzare il cambiamento nella giusta direzione. Se poi facessimo l’ulteriore sforzo di non pensare come fattore positivo la sua crescita, ma prendessimo finalmente coscienza dell’importanza del raggiungimento di un punto di equilibrio, allora avremmo veramente smesso di pensare idee vecchie.

Quando si mette in discussione il vecchio sistema la prima obiezione è: ma l’occupazione? Anche per questo aspetto potremo fare un bell’esercizio di dismissione di vecchie idee, ma ne parleremo in un prossimo articolo.

#pensaideenuove
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Dobbiamo smettere di pensare in funzione del PILultima modifica: 2022-01-01T14:16:47+01:00da domenico_barone6
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