Riflessioni post covid19 – parte 2

La normalità era poi così ‘sicura’?
Per rendere sicura la fase 2 di gestione di questa tragica emergenza pandemica stiamo assistendo ad un grande sforzo di regolamentazione degli accessi ai mezzi pubblici, agli spazi lavorativi, educativi, sociali, sportivi, culturali, ricreativi e conviviali.
Tutto viene rivisto e valutato alla luce del distanziamento imposto dalla lotta alla diffusione del virus e improvvisamente abbiamo preso coscienza che laddove prima entravamo in 100 ora dobbiamo entrare in 20, ma nessuno si sta domandando se ai tempi della ‘normalità’ quei 100 fossero ‘sicuri’. Farsi questa domanda è fondamentale per capire a quale normalità dobbiamo aspirare.
Prendiamo come primo esempio i trasporti pubblici: per quante persone sono stati progettati gli autobus, i treni dei pendolari, le metropolitane? O meglio quante persone vi possono viaggiare in sicurezza, cioè rispettando tutte le normative igienico-sanitarie, tecniche, antincendio, di evacuazione, ecc.? Non certo tutte quelle persone che nelle fasce orarie di punta vi si stipano con forza e indifferenza all’inverosimile.
Avete mai fatto l’esperienza a Roma di prendere un convoglio della metro A nell’ora di punta? Avete mai fatto l’esperienza di prendere il treno FS da Anguillara Sabazia a Roma Ostiense la mattina durante l’anno scolastico?
No? Io l’ho fatta e vi assicuro che quotidianamente deve avvenire il ‘miracolo’ che tutto vada bene, perché centinaia di persone ammassate una schiacciata all’altra in un vagone con scarsa ventilazione non è certamente una situazione ‘sicura’. Mi è capitato alcune volte di assistere a persone colte da malore che non potevano essere portate rapidamente all’esterno del vagone, perché nessuno poteva muoversi, per il sopraffollamento e perché agli ingressi altre decine di persone con il cinismo del ‘io devo andare a lavorare’ spingevano per entrare incuranti dell’emergenza.
E’ questa la ‘normalità’ alla quale vogliamo tornare? O forse è arrivato il tempo di pretendere soluzioni finalmente ‘sicure’?
Se le banchine di attesa nelle stazioni delle metropolitane sono state progettate per lo stazionamento di massimo ‘n’ persone, per la nostra sicurezza dobbiamo pretendere i conta-persone e gli accessi contingentati alle stazioni a prescindere dalla pandemia: sempre!
Qualcuno avrà da obiettare che così si paralizzerebbe la circolazione delle persone nelle città, io rispondo che affrontando il problema con intelligenza e rispetto della sicurezza, si possono trovare molteplici soluzioni al problema. Qualche esempio:
• riducendo al minimo la necessità di spostamento (ad esempio incentivando e rendendo normale il lavoro da casa);
• differenziando le fasce orarie di apertura di scuole, uffici, attività commerciali e produttive;
• facilitando la mobilità leggera e sostenibile (incentivando l’utilizzo delle biciclette a pedalata assistita o altri mezzi personali elettrici, dedicando ampie corsie stradali a questa modalità di mobilità);
• potenziando i mezzi pubblici e rendendoli gratuiti (aumentandone il numero e la frequenza);
• delocalizzando le attività e promuovendo lo sviluppo delle aree periferiche e rurali.

Nello scrivere queste riflessioni mi è tornata in mente la mia esperienza di insegnante di scuola media superiore negli anni ’90. In quel periodo la politica di riduzione della spesa pubblica ha influito pesantemente in negativo sulla scuola.
I vari ministri hanno fatto a gara per introdurre norme sempre più orientate alla riduzione delle classi, al fine di chiudere il maggior numero di istituti scolastici e diminuire il numero di insegnanti e operatori scolastici.
Il mezzo per raggiungere questo obiettivo è stato quello di aumentare progressivamente il numero di alunni minimo per formare una classe, praticamente raddoppiandolo: siamo arrivati in pochi anni a classi di 30, 32 alunni. Lavorare con un numero così alto di alunni ha diminuito enormemente l’efficacia dell’attività educativa, ma soprattutto ha creato problematiche di sicurezza all’interno delle aule e degli istituti scolastici del tutto inadeguati al raddoppiato numero di utenti.
Aule che a malapena risultavano a norma per 14-15 alunni, dovevano ospitarne più del doppio in barba a tutte le normative igienico sanitarie e di sicurezza sul luogo di lavoro. Gli edifici scolastici inoltre non erano dotati di scale di emergenza, dispositivi antincendio, impianti elettrici a norma, ecc..
Mi ricordo che subito dopo il forte terremoto del 1997, alle mie osservazioni, all’epoca era vicepreside di un istituto umbro, il responsabile dei Vigili del Fuoco incaricato di visionare l’edificio, mi rispose che se avessero dovuto applicare la normativa, avrebbero dovuto chiudere quasi tutte le scuole.
Mi pare che da allora le cose non siano migliorate di molto: questa era la ‘normalità’. Ci è voluta una pandemia per farci prendere coscienza che i nostri ragazzi dovrebbero rientrare in aule che non sono in grado nemmeno di garantire il rispetto delle norme igienico-sanitarie di base!

Per non annoiare troppo il lettore, voglio finire con un’ultima riflessione, anche se ancora tanti altri aspetti potremmo prendere in considerazione, questo però mi pare più attuale: i locali commerciali destinati alle attività di ristorazione o ricreative erano sicuri? È giusto tornare ad una normalità che consentiva ad alcune attività di stipare in locali, a volte sotterranei, senza vie di fuga sufficienti, centinaia di avventori?

Io non voglio tornare al ‘prima’, voglio un dopo a dimensione umana e rispettoso del pianeta.

Riflessioni post covid19 – parte 2ultima modifica: 2020-05-09T15:48:45+02:00da domenico_barone6
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